Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Pietro (del 04/03/2011 @ 00:21:26, in Cinema, linkato 1745 volte)
Esce il 16 marzo il prequel di Amici Miei. Regia di Neri Parenti. Cast: Christian De Sica, Michele Placido, Giorgio Panariello, Paolo Hendel, Massimo Ghini, Massimo Ceccherini e Alessandro Benvenuti.
Finalmente chiare le motivazioni del suicidio di Mario Monicelli.
Di Pietro (del 14/03/2011 @ 12:21:45, in Cinema, linkato 2263 volte)
Stamane ho sentito al GR Rai, un bel servizio promozionale spacciato per cronaca di spettacolo. L'ammaliante Baba Richerme, con la sua nobiliare voce (ogni volta che la sento non posso fare a meno di ripensare al sergente Hartman di Full metal jacket: "Tu sei nobile ?!...."), ha dato vita allo spot pubblicitario, con verve da critica consumata.
Nel preambolo ci ha tenuto a ricordare agli ignoranti ascoltatori che la saga di Amici Miei è composta dai tre episodi del grande Mario Monicelli.
Peccato che:
- il primo episodio era di Germi (morto prima dell'inizio delle riprese, e quindi il progetto passò a Monicelli, che da Signore quale era volle lasciare all'inizio del film la scritta "Un film di Pietro Germi")
- il secondo è interamente di Monicelli
- il terzo è interamente di Nanny Loi (e si vede, purtroppo)
Ma si sa, sono film di nicchia, li hanno visti quattro gatti, mica fanno parte della Storia della commedia italiana: e che mo' una giornalista che si occupa di cinema deve sapere sti dettagli di film insignificanti ?
p.s. nel trailer radiofonico indecoroso del film di Neri Parenti in uscita il 16 p.v., si sente una scopiazzatura della supercazzola (non hanno trovato di meglio per promuovere il "film"). E si sente chiaramente "Terapia tapioca". Ma l'originale è sempre stato "Tarapia tapioca". Non si sono neanche scomodati a sentirlo l'originale.
Possedendo un Nokia 5230 che permette di registrare automaticamente nelle foto le coordinate GPS del punto dove sono state scattate, mi sono chiesto come fare ad ottenere lo stesso risultato per la mia reflex.
Il dispositivo GPS dedicato del produttore costa oltre 300 euro, funziona solo con quel modello (quindi avendo due corpi macchina, sei fregato) e deve ovviamente essere collegato via cavo alla macchina fotografica.
Quindi è risultato da subito abbastanza inabbordabile.
Cercando sul web ho trovato una soluzione estremamente più economica e versatile.
In pratica si tratta di utilizzare un logger GPS che registra di continuo la posizione dove ti trovi, e poi utilizzare tale informazione per inserire nelle immagini le coordinate GPS.
Il prodotto che ho scelto è il i-gotU GT-600, prodotto dalla Mobileaction.
Costa una settantina di euro e permette di avere una mappatura continua della posizione per 30 ore continue. Ha sensore di movimento (che permette di risparmiare la batteria e lo spazio di memoria, mettendo in stand by il logger quando non ti muovi), è impermeabile e anche molto grazioso e compatto. Inoltre permette di utilizzare le informazioni di log per molti altri scopi (creare mappe di viaggio, gestire attività sportive, etc. etc.).
La confezione contiene, oltre al logger, una custodia in silicone, un mini cd con il software (che si può comunque scaricare liberamente dal sito del produttore), cavo di collegamento al PC e una fascia per fissarlo al braccio.
Si collega al pc e con il suo sw dedicato permette di scaricare le informazioni del tragitto effettuato e di sincronizzare le fotografie con tali info. Tutto bene ma….. il sw in dotazione può gestire solo le immagini JPEG.
E io che uso solo il formato RAW ?
Altra piccola ricerca e ho trovato Geosetter. Si tratta di un freeware che permette di aggiornare i tag GPS delle immagini partendo dai files .gpx che crea il logger e che funziona egregiamente con i formati RAW sia di Nikon che di Canon (e con tanti altri).
Come funziona il tutto ? Molto semplice:
- Quando esci a fare le foto accendi il logger e te lo tieni nello zaino (o al polso o dove preferisci, purché in posizione utile a ricevere il segnale GPS). L’autonomia di 30 ore è più che sufficiente per quasi qualsiasi tipo di escursione. Può memorizzare sino a 262.000 waypoints (posizioni), quindi con un campionamento di una posizione ogni 15 secondi, possiamo tenere in memoria nel logger oltre 1000 ore di viaggio….
- Torni a casa la sera e scarichi il file dal logger
- Scarichi le foto fatte in una directory
- Apri Geosetter, gli dici dove sono le foto e dove è il file (o i files) di log e lui, in automatico, aggiorna le immagini aggiungendo la posizione (latitudine, longitudine e altitudine).
Per georefenziare le foto, Geosetter utilizza due metodi a scelta: o scrive direttamente le informazioni EXIF nella foto (facendo un backup automatico del file ad evitare che un errore di scrittura le danneggi) oppure aggiunge nella stessa directory una serie di files xml (uno per ogni immagine) che hanno nome uguale alla foto ma estensione diversa (avremo quindi, per l’immagine DSC_2104.NEF il file DSC_2104.xmp). In tal modo i files originali non vengono toccati.
Pro e contro rispetto a un ricevitore dedicato da collegare alla macchina fotografica:
PRO
- Costo estremamente contenuto (il GT-600 si trova a meno di 70 euro, ma si può optare per il GT-120 che costa meno di 40)
- Universalità dell’attrezzatura: non solo non sei vincolato ad usare sempre e solo un corpo macchina ma puoi addirittura usare contemporaneamente 2, 3, 10, 100, 1000 etc. etc macchine fotografiche diverse. L’importante è che quando scatti la macchina sia nella stessa posizione dove si trova il logger e che abbia la data e ora impostate correttamente (ma in caso di scarto tra l’orario della macchina e quello del logger, è possibile correggere il delta con Geosetter)
- Nessun collegamento con la macchina fotografica (meno impicci da gestire)
CONTRO
- L’unico contro che ho trovato è che il cavo di connessione del logger ha un connettore proprietario, quindi se si rompe o te lo perdi, non scarichi più le informazioni ne’ lo ricarichi. In ogni caso un cavo di ricambio costa meno di 4 euro e quindi vale la pena di acquistarne uno contestualmente all’acquisto del logger.
L'orfanotrofio della Marcigliana nel 2011
Sono tornato dopo un anno alla Marcigliana. E' sempre un posto estremamente affascinante, spettrale. In un anno non è cambiato quasi nulla. Qualche bel murales in più, e un po' di erbacce di meno. Non ci sono più le palme che adornavano il viale, tagliate dopo essere state uccise dal punteruolo rosso. Stavolta ho voluto indagare più a fondo per capire cosa fosse questa struttura prima di cadere in abbandono. Su internet la teoria più accreditata è che si trattasse di un orfanotrofio o di un manicomio. La teoria manicomio è la più gettonata, ma semplicemente perchè è molto più intrigante. Su youtube ci sono una serie di filmati adolescenziali che mostrano esplorazioni a caccia di fantasmi e spiriti tra queste mura (con Profondo Rosso dei Goblin in sottofondo: è immancabile, come immaginare una convention aziendale senza We are the champions dei Queen. Dio della banalità abbi pietà di noi) Non ho trovato nessuna certezza (come mi piace che sia per questi posti dove non devono esserci certezze: la verità te la devi ricostruire tu, da tanti tasselli, senza mai essere sicuro di averla colta in pieno). Ho fatto alcune deduzioni che potete trovare dettagliate nel set delle immagini, e mi dispiace per chi si sentirà spogliato del fascino molto più tetro che avrebbe avuto come manicomio, ma direi che è quasi sicuro si trattasse di un orfanotrofio. Trasformato poi in istituto geriatrico (meno tetri entrambi, ma non molto più allegri).
Il palazzo è inoltre stato location di un paio di film (“I nuovi mostri” di Risi, Monicelli e Scola del 1977 - “La banda del gobbo” di Umberto Lenzi sempre del 1977).
Quindi sino al 1977 l'edificio era utilizzato, o quanto meno in buono stato di conservazione. Non mi è stato possibile scoprire quando sia stato chiuso definitivamente.
Dei pochi locali di cui si riesce a dedurre l'originaria destinazione, merita una citazione particolare la cappella (immancabile in un luogo simile). Ci sono ancora l'abbozzo in mattoni dell'altare e alcuni fregi in marmo. Macchie nere sulle pareti dimostrano l'impegno a cancellare scritte e simboli satanici (che si può fare nella cappella abbandonata di un posto simile, se non delle belle messe nere ?). Sempre nella cappella una persona con i piedi per terra ha scritto su un muro “A satana, mavaffanculo”: ogni tanto un barlume di ironica intelligenza pervade il genere umano. Su uno spuntone di marmo, invece, un'altra mano (o forse la stessa) ha vergato una semplice frase che riassume, a mio modesto parere, l'essenza dell'esistenza: “Nulla ti fa e tutto ti distrugge”. E' bello trovare su un muro la Verità.
C'è poi la stanza delle scritte dei bimbi (“Perchè non mi fanno uscire ? Mamma dove sei ? Perchè m'hanno punito ? Etc. etc.). Dei fake evidenti, ma di sicuro effetto.
Girarci dentro e pensare alla vita che c'è passata in tanti anni, fa un po' impressione. L'idea che un orfanotrofio fosse edificato in un posto così isolato dal mondo (lo è ancora adesso, figuriamoci nel 1933) la dice lunga sulla necessità di controllo, indottrinamento e di difesa dal mondo che le linee educative dettavano. L'orfano è un diverso, una mente da plagiare e indottrinare, e l'isolamento (anche fisico) è strumento utilissimo. Non a caso nei Lebensborn di Himmler i bambini venivano prontamente sottratti alle madri e non conoscevano mai il padre SS. L'educazione era solo ed esclusivamente la dottrina e nulla (meno che meno il sentimento materno) doveva introdurre il minimo disturbo. Ma forse queste sono soltanto mie sciocche idee, e in realtà nell'orfanotrofio si stava benissimo.
Un aneddoto finale: siamo appena arrivati e stiamo visitando il piano terra quando incontriamo il Geometra e il suo Aiutante. Il Geometra è un distinto signore coi capelli bianchi che indossa un caschetto giallo da cantiere. Porta in mano una stecca graduata e va misurando questo e quello. L'Aiutante è un ragazzo giovane con una Nikon a tracolla. Ci vedono e il Geometra chiede “Chi siete ?” e noi “Due fotografi”. Il Geometra “Ah, bene. Mi hanno detto che qui si possono incontrare persone poco raccomandabili” (porca miseria, l'avessi saputo gli avrei risposto “Siamo due fotografi poco raccomandabili”: che occasione persa !). Per salire ai piani superiori ci sono due scale: una ha un tratto completamente divelto e l'altra è invece in condizioni migliori. Il Geometra e l'Aiutante, protetti da Nikon ed elmetto giallo, sfidano il cavalcone di legno pericolante che giunta le due parti rotte della scala malmessa, e noi invece saliamo più prosaicamente con la scala sana. Dopo un po' li rincontriamo e mi azzardo a chiedere “Ma come mai questi rilievi ? C'è un progetto di recupero ?” e il Geometra “Si, c'è un progetto di riportare questo posto a quello che era prima”. Preso dalla curiosità sul passato del posto chiedo “Ah si ? Quindi ci sa dire cosa c'era prima tra queste mura ? “ e il Geometra “No, non ne ho idea”. Lo salutiamo, non senza raccomandargli di scendere per la scala buona, senza sfidare due volte la fortuna nel giro di due ore.
Alla fine della visita stiamo salendo in macchina e arriva Cesare. Cesare è il “guardiano” delle rovine. Sembra che abiti lì e chiede una “tassa” ai visitatori: una ventina di euro ai combattenti che ci vanno a giocare a softair, una quarantina agli artisti (noi siamo la seconda categoria, seppur immeritatamente). Stavolta gli è andata male, siamo in partenza e ormai i soldi non ce li può chiedere. Quindi ci saluta cordialmente e torna alle sue faccende.
Trovate qui l'intero set di immagini
Grazie a Marco per la preziosa scoperta...
Mai avrei immaginato di poter fare una fotografia dentro ad una marmitta. Ma dentro, dentro, eh ! Cioè, dentro io, il cavalletto e la macchina fotografica. Si tratta solo di trovare la marmitta adatta. In questo caso la camera di scarico e insonorizzazione di una vecchia centrale turbogas abbandonata.
Il resto delle foto è su lifelog.it
Impeto di beatificazioni a Roma. Oltre a Giovanni Paolo II, viene beatificato anche un parcheggio della Tiburtina. In realtà, a Roma, un posto dove parcheggiare è per definizione in odore di santità...
Un altro monumento dell'ingegno umano. Si tratta di un vecchio fortilizio costruito per durare ed essere indistruttibile, per resistere agli attacchi dei nemici, che siano in armi o semplici vandali da strapazzo.
Il suo dovere l'ha fatto alla grande e continua a farlo tutt'oggi nel suo imponente abbandono. Si difende bene, la struttura è praticamente intatta. La pietra ha resistito per oltre cento anni dimostrando l'abilità del costruttore. Da quello che ho potuto capire è stato costruito nell'ultimo ventennio del 1800 ed è stato una fortezza inespugnabile sino a quando, dopo la prima guerra mondiale, la nascita dell'aviazione ha vanificato le capacità difensive di queste fortezze che erano inespugnabili solo facendo affidamento sull'insuperabilità della forza di gravità. Dopo la prima guerra mondiale, quindi, è stato trasformato in polveriera ed ha assolto questo suo nuovo compito fino al 1990 circa. Dopo è stato abbandonato, e giace sulla collina che lo ospita da oltre cent'anni continuando a resistere a nuovi nemici. Dentro non c'è più nulla, ma la struttura di pietra è intonsa e appare ancora invurnerabile. E' un dedalo di gallerie percorse da piccoli binari che servivano evidentemente alla movimentazione dei carrelli che portavano le munizioni. Abbiamo potuto riconoscere solo un ambiente: le vecchie latrine. Una serie di buchi su una seduta di pietra, che sfociano in un locale fossa nera sottostante. Alcune stanze hanno ancora i solai in legno e qua e la ci sono degli infissi in legno. Ancora visibili alcuni cancelli in ferro, con delle stupende decorazioni a forma di fiore e alcune inquietanti croci capovolte (poi lamentiamoci che in questi posti ci vanno a fare le messe nere, eh !). Il forte è circondato, come da manuale, da un fossato e si accede tramite un ponte. Il ponte originale probabilmente non era levatoio ma scorrevole: se ne intravede ancora parte dei meccanismi.
L'intero set di immagini è su lifelog.it
Roma, stazione Termini - 2011
Pink Floyd, The Wall - 1981
Il motivo per cui si dia il nome di un gas nervino letale ad una azienda di prodotti ittici alimentari resta un mistero impenetrabile...
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