L'orfanotrofio della Marcigliana nel 2011
Sono tornato dopo un anno alla Marcigliana. E' sempre un posto estremamente affascinante, spettrale. In un anno non è cambiato quasi nulla. Qualche bel murales in più, e un po' di erbacce di meno. Non ci sono più le palme che adornavano il viale, tagliate dopo essere state uccise dal punteruolo rosso.
Stavolta ho voluto indagare più a fondo per capire cosa fosse questa struttura prima di cadere in abbandono. Su internet la teoria più accreditata è che si trattasse di un orfanotrofio o di un manicomio.
La teoria manicomio è la più gettonata, ma semplicemente perchè è molto più intrigante. Su youtube ci sono una serie di filmati adolescenziali che mostrano esplorazioni a caccia di fantasmi e spiriti tra queste mura (con Profondo Rosso dei Goblin in sottofondo: è immancabile, come immaginare una convention aziendale senza We are the champions dei Queen. Dio della banalità abbi pietà di noi)
Non ho trovato nessuna certezza (come mi piace che sia per questi posti dove non devono esserci certezze: la verità te la devi ricostruire tu, da tanti tasselli, senza mai essere sicuro di averla colta in pieno).
Ho fatto alcune deduzioni che potete trovare dettagliate nel set delle immagini, e mi dispiace per chi si sentirà spogliato del fascino molto più tetro che avrebbe avuto come manicomio, ma direi che è quasi sicuro si trattasse di un orfanotrofio. Trasformato poi in istituto geriatrico (meno tetri entrambi, ma non molto più allegri).
Il palazzo è inoltre stato location di un paio di film (“I nuovi mostri” di Risi, Monicelli e Scola del 1977 - “La banda del gobbo” di Umberto Lenzi sempre del 1977).
Quindi sino al 1977 l'edificio era utilizzato, o quanto meno in buono stato di conservazione. Non mi è stato possibile scoprire quando sia stato chiuso definitivamente.
Dei pochi locali di cui si riesce a dedurre l'originaria destinazione, merita una citazione particolare la cappella (immancabile in un luogo simile). Ci sono ancora l'abbozzo in mattoni dell'altare e alcuni fregi in marmo. Macchie nere sulle pareti dimostrano l'impegno a cancellare scritte e simboli satanici (che si può fare nella cappella abbandonata di un posto simile, se non delle belle messe nere ?). Sempre nella cappella una persona con i piedi per terra ha scritto su un muro “A satana, mavaffanculo”: ogni tanto un barlume di ironica intelligenza pervade il genere umano. Su uno spuntone di marmo, invece, un'altra mano (o forse la stessa) ha vergato una semplice frase che riassume, a mio modesto parere, l'essenza dell'esistenza: “Nulla ti fa e tutto ti distrugge”. E' bello trovare su un muro la Verità.
C'è poi la stanza delle scritte dei bimbi (“Perchè non mi fanno uscire ? Mamma dove sei ? Perchè m'hanno punito ? Etc. etc.). Dei fake evidenti, ma di sicuro effetto.
Girarci dentro e pensare alla vita che c'è passata in tanti anni, fa un po' impressione. L'idea che un orfanotrofio fosse edificato in un posto così isolato dal mondo (lo è ancora adesso, figuriamoci nel 1933) la dice lunga sulla necessità di controllo, indottrinamento e di difesa dal mondo che le linee educative dettavano. L'orfano è un diverso, una mente da plagiare e indottrinare, e l'isolamento (anche fisico) è strumento utilissimo. Non a caso nei Lebensborn di Himmler i bambini venivano prontamente sottratti alle madri e non conoscevano mai il padre SS. L'educazione era solo ed esclusivamente la dottrina e nulla (meno che meno il sentimento materno) doveva introdurre il minimo disturbo.
Ma forse queste sono soltanto mie sciocche idee, e in realtà nell'orfanotrofio si stava benissimo.
Un aneddoto finale: siamo appena arrivati e stiamo visitando il piano terra quando incontriamo il Geometra e il suo Aiutante.
Il Geometra è un distinto signore coi capelli bianchi che indossa un caschetto giallo da cantiere. Porta in mano una stecca graduata e va misurando questo e quello.
L'Aiutante è un ragazzo giovane con una Nikon a tracolla.
Ci vedono e il Geometra chiede “Chi siete ?” e noi “Due fotografi”.
Il Geometra “Ah, bene. Mi hanno detto che qui si possono incontrare persone poco raccomandabili” (porca miseria, l'avessi saputo gli avrei risposto “Siamo due fotografi poco raccomandabili”: che occasione persa !).
Per salire ai piani superiori ci sono due scale: una ha un tratto completamente divelto e l'altra è invece in condizioni migliori. Il Geometra e l'Aiutante, protetti da Nikon ed elmetto giallo, sfidano il cavalcone di legno pericolante che giunta le due parti rotte della scala malmessa, e noi invece saliamo più prosaicamente con la scala sana.
Dopo un po' li rincontriamo e mi azzardo a chiedere “Ma come mai questi rilievi ? C'è un progetto di recupero ?” e il Geometra “Si, c'è un progetto di riportare questo posto a quello che era prima”. Preso dalla curiosità sul passato del posto chiedo “Ah si ? Quindi ci sa dire cosa c'era prima tra queste mura ? “ e il Geometra “No, non ne ho idea”. Lo salutiamo, non senza raccomandargli di scendere per la scala buona, senza sfidare due volte la fortuna nel giro di due ore.
Alla fine della visita stiamo salendo in macchina e arriva Cesare. Cesare è il “guardiano” delle rovine. Sembra che abiti lì e chiede una “tassa” ai visitatori: una ventina di euro ai combattenti che ci vanno a giocare a softair, una quarantina agli artisti (noi siamo la seconda categoria, seppur immeritatamente). Stavolta gli è andata male, siamo in partenza e ormai i soldi non ce li può chiedere. Quindi ci saluta cordialmente e torna alle sue faccende.
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