Il cuore produttivo dell’occidente è nelle aziende. Le aziende, inizialmente piccole e a carattere padronale, sono cresciute sempre di più sino a diventare multinazionali, sovranazionali e spesso più potenti degli stati che le ospitano. Ma tutto questo ha creato dei problemi di governance. Se prima il padrone, la sua famiglia e i suoi uomini di fiducia potevano controllare capillarmente l’azienda, con le multinazionali il sistema è dovuto cambiare. Non c’è più un solo padrone ma un azionariato diffuso, distante dalla produzione (perché, comunque, le aziende continuano a produrre beni o servizi) e inconsapevole spesso dei meccanismi delle aziende che possiede. Inoltre, anche se come detto le aziende continuano a esistere per produrre qualcosa, si è spostato il metro della loro valutazione. Non si giudica più positivamente o meno un’azienda in base al fatto che produca qualcosa generando un valore aggiunto. La si giudica principalmente in base al valore azionario che molto poco è legato alla reale situazione di benessere produttivo dell’azienda (i recenti crack finanziari di aziende produttivamente sane come la Parmalat ne sono prova). Quindi l’azionariato diffuso è sensibile solo al valore del titolo in borsa (che in fin dei conti è ciò che produce guadagno per l’azionista) e delega la governance delle aziende ai manager. Il manager non ha alcun interesse che l’azienda prosperi nel lungo termine: deve ottenere il massimo profitto subito, costi quel che costi. Membro di una Casta strapagata, amministra e gestisce cose non sue, traendone enormi vantaggi e segando il ramo su cui è seduto. Tanto sa che, prima che il ramo si spezzi, sarà altrove, in un’altra azienda, pagato sempre un po’ di più. Non ci meravigliamo se il sistema vacilla, allora. Per decenni nessuno ha avuto l’interesse a far durare le aziende, con scelte oculate e lungimiranti. Ora stiamo pagando tutti il prezzo. E sarà parecchio alto.
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