Chi lavora in una grande azienda può capirmi.
E' molto di moda, ultimamente, comunicare ai dipendenti i valori etici della propria azienda, la sua missione benefica per il mondo, l'orgoglio di farne parte.
C'è un piccolo equivoco di fondo.
Noi siamo qui come lavoratori.
L'azienda paga il nostro lavoro e noi, o almeno molti di noi, lo svolgiamo al meglio.
Con un orario da rispettare, con delle regole da seguire, con dei diritti tutelati non dall'azienda ma dalle leggi dello stato.
Non c'è etica in tutto ciò.
E' un rapporto contrattuale.
Punto.
Io lavoro e rendo 100.
Tu mi paghi 60.
Tu guadagni 40, che costituisce il reddito sacrosanto dell'impresa.
Il 60 che mi dai, me lo darebbe anche un'altra azienda.
Non è un credo, una religione o un ideale. E' "lavoro".
E non sono orgoglioso di lavorare per vivere. Ne ho la necessità.
Come mangiare e bere: non sono mai stato orgoglioso di mangiare o di bere.
A volte mangio cose buone a volte cose meno buone. La differenza è la qualità, non l'essenza.
Mi basta, quindi, che l'azienda sia in grado di garantirmi un dignitoso benessere economico e ambientale.
Sono orgoglioso, di tanto in tanto, di lavorare per permettere a me e ai miei cari di mangiare e vivere. E neanche troppo bene, in fin dei conti.
Quindi, per favore, non riempiamoci la bocca con i valori dell'azienda, con l'orgoglio del "brand" e altre cose come queste.
Sono parole vuote che sconfinano facilmente nel ridicolo.
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